The waste land / Print and acrylic on PVC, 180 x 140 cm, 2007

TAKE FIVE

Obraz Gallery

Group exhibition curated by Cecilia Antolini, Chiara Canali, Stefano Castelli, Luca Doninelli e Alessandro Trabucco | Milan - Italy

01.10.2007 - 01.11.2007

Lavorano a 4 mani J&Peg, al secolo Antonio Manago’ e Simone Zecubi, per creare i loro mondi (im)possibili. Il lavoro è tutto in comune, dalla ricognizione tematica che precede il progetto alla realizzazione tecnica in tutte le sue fasi. Aprono luoghi senza orizzonte, ambientazioni al limite del surreale entro cui lasciano entrare personaggi rapiti alla realt . Merita una parola la tecnica che scelgono, lunga e complessa, fatta di costruzioni materiali di modellini e piccoli set semicinematografici, scatti fotografici e interventi pittorici. Tra citazioni colte e scelte spaesanti, fantascienza e tradizione si dividono la scena. La pittura e la fotografia fondono la realt esterna (foto) con quella interiore (pittura) per dar vita a uno spazio iperreale che ha le sfumature dell emotivit e il rigore dell oggettivit .

Sfondo ad azioni sospese di personaggi immortalati in gesti e pose densamente simbolici è un nero intenso, mai cupo. Misterioso, è il nero della notte, che attira come l amplesso e spaventa come la morte, dove tutto è indifferentemente senza distanza o a distanza infinita. È la notte nota all anima dell Artista, dove genitura e morte si intrecciano nel gioco delle ombre. I loro lavori dischiudono mondi altri, dimensioni di stupefacente e pericolosa libert piena di rivelazioni. Il senso delle immagini condivide l ambiguit del sogno, il cui senso è am- bivalente, presentito e vissuto senza il passo successivo compiuto dalla logica che concettualizza. Mettono in scena spazi esistenziali, popolati della presenza di entit affettive fitte di rimandi analogici e legami allegorici. Se un occhio guarda alla tradizione, da cui prende in prestito pose o elementi simbolici, l atteggiamento resta sempre produttivo di connessioni nuove. Segni antichi tornano immersi in contesto contemporaneo, rivelando quel potere -di cui l arte è portatrice indiscussa- di ridefinizione di sensi nuovi nonostante l uso di segni gi noti. Produttiva per definizione, rispetto al suo senso, l opera pu  riprendere una tradizione e fondarne al contempo una nuova, inaugurando inedita dimensione semantica che d senso e consacra assai più di quanto non dia inizio 1. J&Peg sfidano costantemente il tarlo del contro-segno 2, quel segno così chiaramente dichiarativo, immediatamente comprensibile, che proprio per queste sue caratteristiche apparentemente funzionali a una sua più accessibile comprensione perde vitali sfumature, inserendosi in un discorso retorico inconcludente e improduttivo. Richiedendo un processo di recupero abituale che non esige nessuna modificazione delle ordi- narie operazioni di fruizione 3, esso sembra quindi esprimere qualcosa prosaicamente o direttamente, mani- festando in questo modo la propria strutturale inadeguatezza alla dimensione produttiva e stratificata dell arte. I simboli di J&Peg hanno la caratteristica apprezzabile di muoversi al limite di questa dimensione, senza mai caderci e senza mai perdere occasione di mostrare (e dimostrare) come sia possibile che qualcosa diventi significato senza allusione a idee gi formate e acquisite.

 

Cecilia Antolini

 

1 Dufrenne M., Estetica e filosofia, Marietti, Genova 1989, p. 5.

2 Cfr. D. Formaggio, L arte, Istituto Editoriale Internazionale, Milano 1977, p. 194.

3 Anziché sorgere nullificando i morti sistemi fossilizzati di vecchie retoriche o di stantie regole accademiche, si adagia supino e passivo, segno che nasce morto, in stanche ripetizioni figurali di un repertorio o troppo noto e logorato o d altro cielo, d altra compossibilit di totalizzazione, di altra compatibilit reciproca di assieme. (Ivi, p. 202.)

Messy dance/ Print and acrylic on PVC, 70 x 150 cm, 2006

J&PEG, also known as Antonio Manago’ and Simone Zecubi, work hand in hand to create their (im)possible worlds. The work is a collaborative effort, from the thematic exploration preceding the project to the technical realization in all its stages. They open up horizonless spaces, settings bordering on the surreal, where characters from reality are allowed to enter. Their chosen technique deserves a mention—it is long and complex, involving the construction of miniature models and small semi-cinematic sets, photography, and painterly interventions. Between erudite references and disorienting choices, science fiction and tradition share the stage. Painting and photography merge the external reality (photography) with the internal reality (painting), giving life to a hyperreal space that combines emotional nuances with the rigor of objectivity.

The intense background to suspended actions of characters captured in densely symbolic gestures and poses is a deep black, never gloomy. It is a mysterious black of the night that attracts like an embrace and frightens like death, where everything is indifferently without distance or at an infinite distance. It is the night known to the Artist's soul, where birth and death intertwine in the play of shadows. Their works reveal other worlds, dimensions of astonishing and dangerous freedom full of revelations. The meaning of the images shares the ambiguity of dreams, whose meaning is ambivalent, intuited and experienced without the subsequent step taken by the logic that conceptualizes. They stage existential spaces populated by the presence of affective entities rich in analogical references and allegorical connections. While one eye looks to tradition, borrowing poses or symbolic elements, the attitude always remains productive of new connections. Ancient signs resurface in a contemporary context, revealing the power - which art undoubtedly possesses - to redefine new meanings despite the use of already familiar signs. By definition, the work is productive in relation to its meaning; it can reclaim a tradition and simultaneously establish a new one, inaugurating an unprecedented semantic dimension that gives meaning and consecrates much more than it initiates.

J&PEG constantly challenge the worm of the counter-sign, that sign that is so clearly declarative, immediately understandable, but which, precisely because of its apparently functional characteristics for easier comprehension, loses vital nuances, inserting itself into an inconclusive and unproductive rhetorical discourse. Requiring a habitual process of recovery that does not demand any modification of ordinary methods of consumption, it seems to express something in a prosaic or direct manner, thus manifesting its structural inadequacy for the productive and stratified dimension of art. J&PEG's symbols have the admirable characteristic of operating on the edge of this dimension, never falling into it and never missing an opportunity to show (and demonstrate) how something can become meaningful without alluding to pre-formed and acquired ideas.

Cecilia Antolini

Upside down / Print and acrylic on PVC, 170 x 250 cm, 2008

Golden wire / Print and acrylic on PVC, 140 x 180 cm, 2006

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