View of the exhibition / Pirelli Tower, 2013

G8 / RITRATTI ALLA POLITICA

Pirelli Tower (Grattacielo Pirelli/Palazzo della Regione)

Solo exhibition curated by Alberto Mugnaini | Milan - Italy

22.09.2012 - 22.10.20123

Gli ultimi due o tre decenni sono stati contrassegnati da una proliferazione di immagini di corpi nudi. Nudità coattamente ostentata, o come nel caso della moda, nudità stuzzicata e allusa. Il corpo, nei lavori di Antonio Managò e Simone Zecubi, in arte J&PEG, all’opposto della fantasia di Pigmalione, si fa statua, o meglio, si fa mera sagoma plastica su uno sfondo di un insondabile nero. Solo un debole riflesso, come un fuoco fatuo di riverbero, si apre sotto le figure. Figure, appunto, o forse controfigure opacizzate di persone, la cui identità ci viene data come attutita e appannata in una pellicola ultra-aderente, forse un’escrescenza genetica, forse un inspessimento del nostro sguardo… E’ come essere nudi sopra le vesti, è come una nudità indossata. Al corpo umano patinato dell’epoca postmoderna succede un corpo meramente sagomato, dal derma inspessito o regredito in un avviluppamento placentare.

G8 è un progetto site-specific che consta di nove grandi fotografie digitali stampate su PVC montato su telaio e integrate da interventi manuali con pittura acrilica. Le foto sono inserite in un’installazione ambientale che prevede una gabbia in ferro con un inginocchiatoio al centro, a cui si accede attraverso un percorso fiancheggiato da bandiere nere. La realizzazione fotografico-pittorica rappresenta la fase finale di un processo performativo durante il quale gli artisti stessi, coadiuvati o meno da altri attori, impersonano i protagonisti dei loro lavori. Le figure, emergenti da un fondo nero, scolpite e quasi congelate da una luce di limbo, si trovano inguainate in un rivestimento che nel momento stesso in cui ne vela i lineamenti ne scansiona i gesti, ne mette in evidenza postura e contorno, dando vita a una paradossale fisiognomica spersonalizzata, a una personificazione di ruoli di potere.

Sulle pareti laterali dello spazio i ritratti “criptati” degli otto primi ministri e capi di stato che attualmente rappresentano il gotha della politica internazionale stazionano come eternizzati nelle loro pose. Essi sono riconoscibili in quanto simulacri del loro ruolo mediatico, vuoti gusci di dominio individuati dalle modalità meramente spaziali del loro occupare la scena. La personalità politica si riduce così al modo  di riempire e padroneggiare lo spazio, sia esso giornalistico, televisivo o cibernetico. Rivestire una carica pubblica, indossare un ruolo, adeguarsi a una posa da foto ufficiale, offrire una immagine di sé camuffata dai paramenti del potere, ovvero da un effetto di parata: nelle pose studiate e messe in opera dai J&PEG la metafora subisce una concrezione che la pietrifica e la inchioda in un documento che si fa monumentum, ovvero, letteralmente, ammonimento.

Siamo nella più letterale attualità, i rimandi, grazie a un metodico studio delle posture e della tettonica dei corpi, sono stringenti, i leaders identificabili senza incertezze. Eppure questo affondare nel presente è ottenuto con il massimo possibile di straniamento: le persone subiscono una negazione, sono otturate e intransitive.

Siffatta Porträtgalerie è tagliata longitudinalmente da una striscia di tappeto rosso che conduce alla gabbia con l’inginocchiatoio. Questo è rivolto verso un’ulteriore foto, sulla parete di fronte, in cui si stagliano due figure, una maschile e una femminile, parimenti avviluppate da una ridondanza pellicolare, ma come al riparo di un estremo recinto sacro, in un themenos posto fuori dalla scena del potere, le quali danno vita a un estremo interscambio di sentimenti, a una condivisione di sguardi oltre la pellicola della loro negazione. Sotto l’involucro della spersonalizzazione vediamo accendersi un barbaglio di fede in una residua possibilità di scambio affettivo, un tentativo di concordia (ovvero messa in sintonia dei cuori), alla ricerca di un timbro interiore. Eccepiti nello spazio e in balia del nero, sottratti al flusso del divenire, impermeabili all’ambiente, “sfericamente contornati da una loro pelle individua” (Gadda), questi corpi chiusi come crisalidi aspirano nondimeno a relazionarsi. (Questo valga anche a restituire alla crisalide quel tanto di prezioso rimasto tra le maglie della sua etimologia, che rimanda al luccichio dell’oro).

View of the exhibition / Pirelli Tower, 2013

Ld 04-959 / Print and acrylic on PVC, 120 x 180 cm, 2013

I ritratti dei potenti diventano così testimoni di una ritrazione, lungo la passatoia che segnala una sorta di percorso processionale verso un ingabbiamento, verso uno stato di raccoglimento, di purificazione e di clausura  rispetto alla politica. (A dar retta a Curzio Malaparte, d’altronde, è proprio dietro le sbarre che il senso di libertà si troverebbe potenziato e sublimato).

Quello che ne Gli Amanti incappucciati di Magritte era un paradosso e un trabocchetto di senso diventa una presa di coscienza e una sfida. E’ come una rilettura figurale dell’attualità, l’interpretazione rituale degli artisti che si calano nei panni dell’altro: per mimarne l’identità e per negarla contemporaneamente. Per immettersi nel flusso del tempo, cogliere l’istante e istantaneamente raggelarlo. C’è una innegabile componente di teatro nell’opera dei J&PEG. Le loro messe in scena sono rivolte a catturare qualcosa che nel proliferare delle immagini e delle notizie tende a sovrapporsi e confondersi in un rumore di fondo senza fine. Antonin Artaud ebbe a profetizzare, in uno dei suoi deliri in versi, che alla cacofonia succede la polifonia e poi non ci sarà altro che il silenzio nero. Tale è lo sfondo in cui si muovono queste larve tegumentate.

Sarebbe troppo facile spiegare il senso di questo lavoro con le ventate di antipolitica che contaddistinguono l’attuale meteorologia degli umori elettorali. Vi si legge qualcosa di ben più profondo e antico.

Viene in mente piuttosto il pensiero “impolitico” di Simone Weil, la quale verso la fine degli anni Trenta recupera la funzione conoscitiva delle pratiche sociali che si richiamano ai valori di generosità, compassione, carità, dono, che mette a fuoco un diverso tipo di soggettività, di un soggetto che si spende per l’altro, che sceglie di condividere avversità e sofferenza. E anche Norberto Bobbio qualche tempo fa aveva esaltato quelle virtù che stanno fuori dalla politica, quelle virtù deboli, quei connotati di mitezza, solidarietà, sensibilità…

I J&PEG ci offrono una visione plastica che è la rappresentazione metaforica e distillata del nostro vivere attuale. La perdita d’identità sanzionata dal loro lavoro riguarda un’identità stereotipata da un presente mummificante, in cui l’individuo si trova imprigionato come in un dermoscheletro. La posa fotografica diventa istante congelato di un dibattersi nella camicia di forza della contemporaneità, una messa in forma del divenire nel fondo paludoso della nostra storia presente.

Ld 01-955 / Print and acrylic on PVC, 120 x 180 cm, 2013

The last two or three decades have been marked by a proliferation of images of naked bodies. Nudity is forcibly displayed, or in the case of fashion, teased and alluded to. In the works of Antonio Managò and Simone Zecubi, known as J&PEG, the body, contrary to the fantasy of Pygmalion, becomes a statue, or rather, a mere plastic silhouette against an unfathomable black background. Only a faint reflection, like a flickering mirage, opens beneath the figures. Figures, indeed, or perhaps obscured counter-figures of people, whose identities are presented as muted and hazy in an ultra-adherent film, perhaps a genetic outgrowth, perhaps a thickening of our gaze... It is like being naked over the garments, like a worn nudity. The postmodern patinated human body gives way to a merely shaped body, with thickened or regressed dermis, wrapped in a placental entanglement.

G8 is a site-specific project consisting of nine large digital photographs printed on PVC mounted on frames and integrated with manual interventions using acrylic paint. The photos are incorporated into an environmental installation that includes an iron cage with a kneeler at its center, accessed through a path flanked by black flags. The photographic-pictorial realization represents the final stage of a performative process during which the artists themselves, with or without the participation of other actors, embody the protagonists of their works. The figures, emerging from a black background, sculpted and almost frozen in a limbo-like light, are encased in a coating that simultaneously veils their features and scans their gestures, highlighting their posture and contour, giving rise to a paradoxical depersonalized physiognomy, a personification of power roles.

On the side walls of the space, the "encrypted" portraits of the eight prime ministers and heads of state who currently represent the international political elite stand as immortalized in their poses. They are recognizable as simulacra of their media role, empty shells of dominion identified by the purely spatial modalities of their stage presence. Political personality thus reduces to the way of filling and mastering space, be it journalistic, televised, or cybernetic. Holding a public office, assuming a role, conforming to a pose for an official photograph, presenting a self-image disguised by the trappings of power, or rather, by an effect of display: in the studied and executed poses by J&PEG, the metaphor undergoes a concretion that petrifies it and anchors it in a document that becomes a monumentum, in its literal sense, a warning.

We are in the most literal present, the references, thanks to a methodical study of postures and body dynamics, are compelling, the leaders identifiable without uncertainties. And yet, this immersion in the present is achieved with the maximum possible estrangement: individuals undergo denial, they are obstructed and intransitive.

Such a portrait gallery is longitudinally cut by a strip of red carpet that leads to the cage with the kneeler. This faces another photo on the opposite wall, where two figures, one male and one female, stand out, similarly enveloped in a filmic redundancy but protected by an ultimate sacred enclosure, in a themenos placed outside the realm of power, giving rise to an extreme interchange of emotions, to a sharing of gazes beyond the film of their negation. Under the guise of depersonalization, we see a glimmer of faith in a residual possibility of emotional exchange, an attempt at concord (i.e., attuning hearts), in search of an inner timbre. Exceptionally positioned in space and at the mercy of darkness, withdrawn from the flow of becoming, impervious to the environment, "spherically outlined by their individual skin" (Gadda), these closed bodies, like chrysalises, still aspire to relate. (May this also serve to restore to the chrysalis that precious glimmer that remains within the meshes of its etymology, which refers to the glimmer of gold.)

Ld 03-943 / Print and acrylic on PVC, 120 x 180 cm, 2013

The portraits of the powerful thus become witnesses to a withdrawal, along the aisle that signals a sort of processional path towards confinement, towards a state of retreat, purification, and seclusion from politics. (If we were to believe Curzio Malaparte, after all, it is behind bars that the sense of freedom is enhanced and sublimated).

What in Magritte's "The Lovers" was a paradox and a trap of meaning becomes an act of awareness and a challenge. It is like a figurative reinterpretation of the current situation, the ritual interpretation of the artists who immerse themselves in the roles of others: to mimic their identity and simultaneously negate it. To immerse themselves in the flow of time, to capture the instant and instantaneously freeze it. There is an undeniable theatrical component in the work of J&PEG. Their performances are aimed at capturing something that tends to overlap and confuse in the proliferation of images and news, creating an endless background noise. Antonin Artaud prophesied, in one of his delirious verses, that after cacophony comes polyphony, and then there will be nothing but black silence. Such is the backdrop in which these enshrouded larvae move.

It would be too easy to explain the meaning of this work with the gusts of anti-politics that distinguish the current mood of elections. There is something much deeper and ancient to be read in it.

Rather, it brings to mind Simone Weil's "unpolitical" thought, which, towards the end of the 1930s, recovers the cognitive function of social practices that draw on values such as generosity, compassion, charity, and gift-giving. It focuses on a different type of subjectivity, a subject who devotes themselves to others, who chooses to share adversity and suffering. Norberto Bobbio, some time ago, also praised those virtues that exist outside of politics, those weak virtues, those characteristics of gentleness, solidarity, and sensitivity...

J&PEG offer us a plastic vision that is the metaphorical and distilled representation of our current existence. The loss of identity sanctioned by their work concerns an identity stereotyped by a mummifying present, in which the individual is trapped like in a dermoskeleton. The photographic pose becomes a frozen moment of struggling within the straitjacket of contemporaneity, a shaping of becoming in the murky depths of our present history.

Detail of the installation / Pirelli Tower, 2013

Ld 07-954 / Print and acrylic on PVC, 120 x 180 cm, 2013

 

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